MotoGP. Suzuki nella storia. Seconda Parte: da Kevin Schwantz a Joan Mir

Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Concludiamo la narrazione della storia di Suzuki nei GP della top class, dal titolo 1993 del texano a quello del 2000 di Kenny Roberts jr. fino ai due cicli dell’impegno in MotoGP e all’arrivo del regista italiano Davide Brivio
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
19 novembre 2020

Dopo il titolo di Uncini e il suo infortunio dell’83 ad Assen, per Suzuki fu un lento declino: il disimpegno ufficiale alla fine dell’82, le difficoltà dei team esterni, l’arrivo della mattatrice Honda rallentarono le moto di Hamamatsu. Fino alla stagione 1987: dopo un anno ufficiale a metà con Schwantz e Takumi Ito, si cominciò a fare sul serio l’anno dopo con Kevin. Il texano è stato la bandiera Suzuki per sette lunghe stagioni, iniziando a vincere fin dalla prima gara dell’88 in Giappone.

Con il suo stile spettacolare, all’attacco sempre anche quando non ce n’era abbastanza per vincere, Schwantz ha conquistato 25 successi nei GP. Troppe cadute, però, e il suo unico titolo mondiale del 1993 non rende pieno merito alla sua classe. In quella stagione vinse quattro volte, stabilì sei pole position, poi l’incidente di Rainey a Misano gli spianò la strada. Nel ’95 Kevin fu costretto a fermarsi, il fisico troppo provato dalle tante e rovinose cadute.

Mackenzie, Chandler, Barros, Beattie, Gobert, Nobu Aoki si alternarono in sella alle Suzuki senza risultati eclatanti nel periodo successivo fino a che, nel 1999, la Suzuki si prese Kenny Robert jr, il figlio del marziano. Fu la svolta vincente: già il primo anno lo statunitense riportava la moto giapponese alla vittoria dopo quattro anni di astinenza, nel GP del Giappone, e poi arrivarono altri tre successi fino al secondo posto nella classifica finale.

Roberts ed Aoki rinnovarono e il 2000 è l’anno del sesto titolo iridato in 500 per la Suzuki, l’ultimo a due tempi. Fu una stagione vivace e combattuta, quella dell’esordio di Valentino Rossi in top class, di Biaggi, Capirossi, Abe, Barros e compagnia. E fu un titolo meritato, Kenny Roberts jr vinse quattro volte e resta l’unico: mai nessun figlio di un campione del mondo della moto era riuscito ad eguagliare il padre. L’anno dopo per la Suzuki, purtroppo, arrivò una sola vittoria con Sete Gibernau a Valencia.

La prima era della MotoGP

Sono state due le fasi dell’impegno della Suzuki a quattro tempi in MotoGP. Nel 2002 scese in pista la GSV-R con il motore V4, piloti Kenny jr e Gibernau: il primo podio di Roberts, sul terzo gradino, fu anche il miglior risultato del team e a fine stagione solo l’americano chiuse nei dieci. Poi per l’anno successivo arrivò John Hopkins al posto di Sete, e Kenny fu costretto a saltare tre gare dopo un brutto incidente al Mugello in una stagione avara di risultati.

I piloti rimasero gli stessi nel 2004, quando arrivò Bridgestone, ma i risultati non cambiarono più di tanto ed è da ricordare solo una pole di Kenny a Rio. L’anno dopo Roberts centrò un secondo posto e poi decise di cambiare strada e correre per papà sulla KR211V; nel 2006 fu Chris Vermeulen a dividere il box con Hopkins e si raccolse un secondo posto e due pole position.

Quando si passò alla cilindrata 800 per la stagione 2007, quella di Stoner e del titolo alla Ducati, arrivò la prima vittoria con la nuova Suzuki GSV-R 800 grazie a Vermeulen che a Le Mans, in una gara corsa sotto la pioggia, diede la prima soddisfazione piena ad Hamamatsu.

Fu lì che intervenne Loris Capirossi. Nella stagione 2008 i due piloti si classificarono rispettivamente ottavo e decimo (due podi a Vermeulen e uno a Loris) ma peggiorarono l’anno dopo. Infine fu Alvaro Bautista nel 2010 a sostituire Vermeulen, ma le Suzuki continuarono a viaggiare tra il quinto e il dodicesimo posto; fino a che nel 2011, ultima stagione con i motori 800, si vide in pista il solo Bautista che chiuse la stagione al tredicesimo posto (miglior risultato un quinto posto).

Mestamente, il 18 novembre del 2011, con un comunicato ufficiale della casa madre, Suzuki Motor Corporation annunciò il ritiro.  Solo temporaneo però.

Davide Brivio e il quattro in linea

Questa è storia recente. Il 17 giugno 2013 Suzuki annuncia il rientro nella MotoGP programmato per il 2015. Si inizia a sviluppare la moto nei test ufficiali con il pilota collaudatore Randy De Puniet, e nell'ottobre 2014 vengono ufficializzati i nomi dei due piloti: saranno Aleix Espargaro e Maverick Vinales, proveniente dalla Moto2. La moto scende in pista già nel 2014 e partecipa all'ultima gara della stagione a Valencia con De Puniet, ritirato.

Nel 2015 la struttura racing che segue la MotoGP è creata (da zero) in Italia sotto la leadership del brianzolo Davide Brivio, 52 anni all’epoca, l’uomo che nel 2004 aveva portato Rossi in Yamaha. Con Davide, il fratello Roberto e tecnici italiani e spagnoli di varia provenienza.

La nuova GSX-RR con il motore quattro in linea, disegnata in Giappone dalla squadra di Ken Kawauchi, si dimostra subito competitiva e affidabile: tre sono i sesti posti ottenuti da Espargaró (1) e da Viñales (2), ma c’è anche la bella pole position centrata da Aleix al Montmelo, a otto anni di distanza dall'ultima pole Suzuki in moto GP (Vermeulen ad Assen nel 2007). La stagione si chiude con il quarto posto in classifica costruttori con 137 punti.

Nel 2016 vengono confermati i due piloti e in Gran Bretagna Maverick Viñales vince il primo GP dopo il rientro di Suzuki, a nove anni dall'ultimo successo nella top class con Chris Vermuelen nel GP di Francia. Grazie a ottimi piazzamenti e ad altri tre podi (e un solo zero), Maverick chiude la stagione al quarto posto con 202 punti, solo 31 meno del terzo classificato Lorenzo.

Nel 2017 però Suzuki cambia entrambi i piloti e viene fuori la stagione più difficile: la moto è meno guidabile. E’ il turno di Andrea Iannone e del catalano Alex Rins, proveniente dalla Moto2 (con due vittorie). Brivio è fedele alla filosofia dei giovani piloti, non va a cercare un top rider sia per questioni di budget sia per l’ambizione di formarli con Suzuki. Ma Iannone è solo tredicesimo nella classifica finale con 70 punti e Rins sedicesimo con 59. L’ottimo quarto posto di Andrea in Giappone resta isolato.

Cambieranno, e in meglio, i risultati l’anno dopo (2018) con la stessa coppia dei piloti. Rins è il più consistente: sale sul podio fin dalla seconda gara (terzo in Argentina), poi è secondo ad Assen, a Sepang e a Valencia; chiude quinto il mondiale mentre Iannone è decimo a trentatrè punti dal compagno, però anche Andrea sale quattro volte sul podio ed è secondo in Australia.

Con Rins arriva Joan Mir

Nel 2019 il reparto corse gestito da Brivio a Cavenago guadagna maggiore indipendenza amministrativa e tecnica, questo sveltisce le operazioni e lo sviluppo. A sostituire Iannone, passato in Aprilia, arriva Joan Mir, campione della Moto3 2017 e con una sola stagione in Moto2. La GSX-RR cresce ancora e il pilota di punta pure: Alex Rins vince i Gran Premi di Stati Uniti e Gran Bretagna battendo i due fenomeni Rossi e Marquez,, è secondo nel GP di Spagna, figura quasi sempre tra i primi sei classificati e chiude l’ottima stagione al quarto posto. Mir, al debutto in MotoGP, è dodicesimo e il quinto posto in Australia è il suo miglior risultato. La Suzuki è quarta tra i costruttori. Ormai è una bella realtà.