Nico Cereghini: “Stoner, bello rivederlo sorridente”

Nico Cereghini: “Stoner, bello rivederlo sorridente”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Si è presentato a Portimao dopo anni, molto diverso da quello che si poteva immaginare: rilassato, pacifico, davvero felice di rivedere persino Rossi. Ma come coach proprio non lo vedo: a lui veniva tutto facile, è stato il pilota più istintivo della storia
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
8 novembre 2021

Ciao a tutti! Si è rivisto Casey Stoner, nel paddock del mondiale, moltissimi sono stati felici di rivederlo e tanti hanno tirato un sospiro di sollievo. Non è più il Casey che tirava le bombe a Valentino, alla Dorna, al sistema generale e a una parte del box Ducati. È uno Stoner sorridente, pacifico, rilassato. E purtroppo anche sofferente: per la nostalgia che lo ha preso, forse a tradimento, ma anche per quella cronica e misteriosa debolezza.

L’australiano a Portimao si è prestato a fare il coach per i piloti Ducati, ha dato una mano allo stesso Bagnaia, ha incoraggiato il suo connazionale Miller. Potrà davvero diventare il “consulente in pista” dei ducatisti? Se n’è parlato e sarebbe una prospettiva affascinante, ma credo impossibile e per tante ragioni: Stoner da casa si muove malvolentieri, e soprattutto non mi sembra adatto a capire le difficoltà degli altri piloti.

Oggi tutti hanno enormi difficoltà nei passaggi da una moto all’altra, lui no, mai avuti problemi. Oggi ci vuole la moto perfetta fin nei dettagli, a lui non serviva. Lui è stato eccezionale ma, appunto, costituisce l’eccezione, e come dice Bernardelle, guarda il Casey del 2006, com’era difficile da valutare: quell’alchimia nemmeno la Ducati sapeva spiegarla, nemmeno lui stesso che ha sempre guidato d’istinto. Talento incredibile e poco metodo di lavoro. Come coach o come collaudatore ci sembra sprecato.

E’ stato sorprendente vederlo in posa felice accanto a Rossi, sentirlo quando ricordava con gioia il loro duello, che a volte fu aspro. Il rimpianto per un periodo molto speciale della sua vita deve aver fatto scivolare i rancori sullo sfondo. E mi ha colpito in particolare una frase, di Casey: Valentino ha una grande passione per le moto e per le corse, ha detto, mentre io mi divertivo soltanto quando vincevo.

Ecco, qui appare rivelatoria la testimonianza di Francesco Chionne, che in quegli anni era fisioterapista della Clinica Mobile. È Zamagni che la riporta: prima della gara, diceva Chionne, Casey era completamente bloccato, faceva fatica a muoversi, poi soltanto sulla moto si scioglieva, aveva spinto il suo fisico a livelli di stress enormi.

Credo anch’io, come molti appassionati, che Stoner avrebbe potuto essere al livello del migliore Marc Marquez e addirittura un po’ più su. Di talento ce n’era in abbondanza, però sarebbero serviti un carattere e una consapevolezza diversi. Ho sempre visto Casey come il risultato di un esperimento familiare molto rischioso: un bimbetto che invece di andare a scuola girava tutto il giorno nel prato con la motina, che da adolescente emigrava in Inghilterra con mamma e papà per diventare un pilota. Con i pochi soldi ricavata dalla vendita della casa e nessun’altra prospettiva.

Casey Stoner era capace di andare fortissimo dal secondo giro di pista e aveva una sensibilità straordinaria: certamente una qualità innata, e probabilmente sviluppata proprio su quel prato. Ma tutta quella responsabilità al posto del gioco… Peccato: forse oggi Casey susciterebbe ancora ammirazione e invidia per i titoli mondiali e le vittorie.