Le moto e l'arte: il fumetto

Le moto e l'arte: il fumetto
Camilla Colombo
Quarta puntata per la nostra piccola rassegna. Stavolta tocca a fumetti e graphic novels
24 maggio 2018

Vendetta, violenza, ribellione, morte. Se si vuole vedere la motocicletta in un contesto altro, non di viaggio, non di scoperta, non di desiderio, bisogna andare negli Stati Uniti e in Giappone dove i fumetti, dagli anni Settanta in poi, hanno calato la motocicletta in un ambiente dark, fatto di estetica punk e di trasformazioni iconiche in esseri mostruosi.

Ghost Rider
Ghost Rider

Ghost Rider ne è l’esempio più significativo. Pubblicato per la prima volta dalla Marvel nel 1972, dipinge una realtà in cui la parola d’ordine è vendetta. Per sanare un’ingiustizia subita – in una versione, nei confronti del padre adottivo, in un’altra verso la sorella – o per punire criminali e delinquenti. Il tutto, però, a caro prezzo: accordandosi con un’entità malefica o facendosi contagiare dallo spirito della Vendetta e dando in cambio la propria anima.

In sella alla propria motocicletta, che raggiunge velocità ben superiori alla norma ed è in grado di andare anche in verticale o di saltare per lunghe distanze, il giovane Ghost Rider – nella prima edizione il protagonista è uno stuntman – si trasforma in un teschio fiammeggiante dai poteri sovrannaturali, praticamente invincibile. La moto, in origine una Triumph, garantisce al protagonista la possibilità di fuggire sempre da qualunque situazione, regalandogli un senso di impunità e di dominio senza pari.

In Akira, di cui nel 2018 si festeggiano i 30 anni dalla prima pubblicazione, ad occupare la scena sono bande di motociclisti che combattono tra loro per il controllo e la conquista della strada, in una ribellione giovanile dai tratti marcatamente sovrannaturali, perché, anche in questo caso, si tratta di protagonisti con poteri psicocinetici, considerati emblemi di una società distrutta e corrotta, dove l’isolamento individuale dilaga. La moto rossa di Kaneda, uno dei personaggi principali, ha una potenza visiva dirompente, pari ai veicoli presenti in Batman, ma anche all’iconografia futurista dove uomo e motocicletta si compenetrano in un’unica materia.

Durarara
Durarara

In Durarara, infine, le due ruote fanno uno scatto ulteriore, passando da strumento di vendetta e potere, a espressione della morte. In una Tokyo, ancora una volta popolata da gang violente e dai tratti cyberpunk, una motociclista senza testa domina incontrastata in sella alla sua moto nera, guidata sempre a motore e fari spenti, mentre si muove alla ricerca della propria testa. La motocicletta, in questo caso, è l’evoluzione tecnica e tecnologica del cavallo, che nelle epoche precedenti, permetteva ai Dullahan, folletti della mitologia celtica senza testa, di spostarsi velocemente e compiere le loro gesta.