Massimo Clarke: "Questione di rapporti"

Massimo Clarke: "Questione di rapporti"
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Anche se oggi tutte le case adottano il medesimo schema, per il cambio fino a pochi anni fa non mancavano le soluzioni alternative molto interessanti | M. Clarke
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  • di Massimo Clarke
31 ottobre 2014


Dopo il motore, il dispositivo meccanico di maggiore importanza delle moto è sicuramente il cambio. Nelle moto moderne è possibile passare da una marcia all’altra con una incredibile rapidità; basta un piccolo movimento del pedale di comando. Non si deve pensare però che i cambi degli anni Cinquanta e Sessanta fossero peggio, sotto questo aspetto. È sufficiente un breve giro su una Ducati monocilindrica o su una Morini 175 per rendersene conto; tutto il resto potrà anche essere vetusto, ma il cambio, per quanto riguarda la struttura e la funzionalità, è davvero analogo a quelli odierni. Evidentemente siamo di fronte a un eccellente esempio di uno schema tecnico che si è affermato molti anni fa e rapidamente è diventato di impiego universale per la sua validità, senza subire poi modifiche veramente degne di nota.

Nel periodo pionieristico del motociclismo, ovvero nei primi anni del Novecento, le moto erano prive di cambio. L’albero a gomito era in genere collegato alla ruota posteriore da una cinghia piatta; una leva consentiva di impartire a quest’ultima la corretta tensione o di lasciarla lenta in modo che slittasse, quando si era fermi. Poi è apparso il cambio, sotto forma di una scatola di alluminio posta dietro al motore e fissata al telaio mediante un paio di piastre. Ed è nata anche la frizione, posta alla entrata del cambio stesso e collegata al motore da una catena. Una “variazione sul tema”, che ha avuto però scarso impiego ed è scomparsa rapidamente dalla scena, prevedeva un gruppo epicicloidale piazzato nel mozzo della ruota posteriore, che svolgeva così anche la funzione di scatola del cambio.

Il separato che ha resistito

Lo schema con cambio separato ha dominato la scena per diversi decenni, inizialmente in versioni a due o tre rapporti e in seguito a quattro. Per innestare le varie marce il pilota agiva su una leva piazzata a lato del serbatoio del carburante. Il comando a pedale, abbinato a un preselettore, è apparso sul finire degli anni Venti per merito dell’inglese Velocette, ma per vederlo utilizzato da parte di tutti i costruttori è stato necessario attendere la seconda metà del decennio successivo. In effetti già nel 1905 la Werner aveva realizzato un comando a pedale, ma era poco pratico ed è stato rapidamente abbandonato in quanto privo di un preselettore, ovvero del dispositivo che riporta il pedale stesso nella posizione originale, intermedia, dopo l’innesto di ogni marcia.

Il cambio in blocco si è imposto definitivamente, in Italia, Germania e Giappone, negli anni Cinquanta; alcune case (spicca qui la Moto Guzzi) avevano però iniziato ad impiegarlo già negli anni Venti.

Per quanto riguarda il sistema impiegato per innestare le diverse marce, inizialmente sono stati realizzati rozzi e rumorosi cambi con ingranaggi che entravano in presa spostandoli assialmente. Ben presto però si sono imposti quelli nei quali su ciascuno dei due alberi (di entrata e di uscita) sono montate delle ruote dentate che rimangono sempre in presa tra loro, due a due. Ognuna di queste coppie corrisponde a una marcia ed è costituita da un ingranaggio che gira folle sul proprio albero e da un altro che invece è solidale nella rotazione con l’altro albero. Lo schema classico, che da tempo domina la scena, prevede che alcuni ingranaggi di questo secondo tipo siano fissati rigidamente all’albero e altri vengano installati su di esso con un accoppiamento scanalato che li vincola nella rotazione ma che consente loro di spostarsi assialmente.

 

All'inizio le moto erano prive di cambio. L’albero a gomito era in genere collegato alla ruota posteriore da una cinghia piatta. Una leva impartiva la corretta tensione per muoversi o la lasciava lenta, in modo che slittasse, quando si era fermi

Il principio di funzionamento è molto semplice: per innestare una marcia basta rendere solidale l’ingranaggio folle (della coppia alla quale corrisponde tale rapporto) con il suo albero. La cosa può essere ottenuta in vari modi. Quello attualmente adottato da tutti i costruttori prevede l’impiego di denti di innesto frontali, praticati sui fianchi delle ruote dentate scorrevoli assialmente. Quando uno di questi ingranaggi viene spostato lateralmente, i suoi denti frontali entrano nei corrispondenti vani dell’ingranaggio folle adiacente, rendendolo solidale nella rotazione con l’albero e consentendogli quindi di trasmettere il moto. Ogni ingranaggio scorrevole è dotato di una cava nella quale si inserisce una forcella di innesto, il cui spostamento viene controllato da un tamburo selettore. Quest’ultimo è munito di cave sagomate, nelle quali vanno ad inserirsi i grani di guida delle forcelle stesse, e ruota a scatti, fermandosi in posizioni prefissate, a ognuna delle quali corrisponde una marcia. Ogni volta che si aziona il pedale del cambio, il tamburo si muove di uno “scatto”, in un senso o nell’altro. Come ovvio, prima che avvenga l’innesto di una marcia viene disinnestata quella precedente. Anche a questo provvede il tamburo selettore, grazie alla conformazione e alla disposizione delle cave di guida delle forcelle.

 

Un tipico cambio in cascata, in questo caso a quattro marce. Ci sono due ingranaggi scorrevoli assialmente, installati uno sull’albero primario e uno su quello secondario
Un tipico cambio in cascata, in questo caso a quattro marce. Ci sono due ingranaggi scorrevoli assialmente, installati uno sull’albero primario e uno su quello secondario

Il movimento del tamburo viene determinata da un sistema ad arpionismo, mosso dal pedale. Per immobilizzarlo nelle posizioni previste vi è un semplice meccanismo “fermamarce”, con un rullo, un puntalino o una sfera che, sotto l’azione di una molla, vanno ad inserirsi in appositi incavi. Le forcelle di innesto delle marce sono montate su aste o direttamente sul tamburo, la cui superficie esterna in tal caso è rettificata.

Al posto del tamburo può essere impiegata una piastra rotante, opportunamente fulcrata (e anche in questo caso munita di cave sagomate nelle quali vanno ad inserirsi i grani di guida delle forcelle). Oggi questa soluzione viene impiegata molto raramente. In passato ci sono stati anche esempi di piastre selettrici dotate di un movimento rettilineo. In diversi cambi del passato nessun ingranaggio poteva spostarsi lateralmente sul proprio albero e l’innesto delle marce veniva ottenuto per mezzo di manicotti scorrevoli assialmente (pure in questo caso controllati dalle forcelle), dotati di denti frontali.

Meritano di essere ricordati alcuni cambi impiegati per diverso tempo in passato da costruttori tedeschi come Zundapp e Victoria, nei quali non c’erano coppie di ingranaggi ma l’albero di entrata era collegato a quello di uscita, posto a una certa distanza, per mezzo di corte catene (una per ogni marcia, ovviamente). Il funzionamento era perfettamente analogo a quello dei classici cambi con ingranaggi sempre in presa, e prevedeva l’impiego di manicotti scorrevoli.

Cambia che ti passa

Fino a non molti anni fa hanno avuto una diffusione non trascurabile i cambi nei quali gli ingranaggi folli erano montati tutti su di un solo albero, con il quale venivano a turno resi solidali per mezzo di sistemi a espansione di sfere o a crociera (o chiavetta) scorrevole. L’albero era cavo e nel primo caso un’asta dotata di un breve tratto avente diametro maggiore scorreva al suo interno ponendosi di volta in volta in posizioni prefissate e spingendo verso l’esterno delle sfere (alloggiate in appositi fori radiali) che andavano ad inserirsi in corrispondenti incavi praticati nella parte interna degli ingranaggi. I cambi a crociera scorrevole funzionavano nello stesso modo, con la differenza che l’albero non aveva fori, ma scanalature, e che al posto delle sfere c’erano delle appendici di trascinamento praticate nell’elemento scorrevole. Questi cambi erano semplici e compatti ma non erano adatti a trasmettere coppie elevate.

 

I classici cambi inglesi di una volta erano del tipo con presa diretta
I classici cambi inglesi di una volta erano del tipo con presa diretta

I cambi sin qui descritti sono del tipo in cascata, nel quale ci sono un albero di entrata (o “primario”) e uno di uscita (o “secondario”), sulla estremità del quale è montato il pignone della trasmissione finale, se essa è a catena. Esistono però anche i cambi con presa diretta, nei quali il pignone è solidale con un manicotto installato sull’albero di entrata e quindi coassiale rispetto ad esso. L’altro albero ha solo una funzione “ausiliaria”; riceve il moto dal primario (mediante coppie di ingranaggi diverse per le varie marce) e lo invia al manicotto di uscita per mezzo di una coppia di ruote dentate che ha questa sola funzione. Ciò per tutte le marce tranne una, per innestare la quale si rende il manicotto solidale nella rotazione con l’albero di entrata; in tale condizione si è in presa diretta e il moto viene trasmesso con rapporto 1:1. Diversamente da quanto accade nei cambi in cascata, in quelli con presa diretta il senso di rotazione non subisce variazioni: il pignone ruota nello stesso verso nel quale gira l’albero di entrata. I cambi di questo tipo sono stati molto diffusi in passato; oggi però i casi nei quali vengono impiegati, anche se significativi (Harley-Davidson), sono davvero rari.

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