Ride in the USA. Supercross 2018, ultimo atto

Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
Anche questa è andata, una delle stagioni Supercross più bizzarre di sempre si è conclusa sabato scorso a Las Vegas
  • Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
9 maggio 2018

Anche questa è andata, una delle stagioni Supercross più bizzarre di sempre si è conclusa sabato scorso a Las Vegas.

Ho provato a informarmi e ho anche cercato su Internet, ma onestamente non sono riuscito a capire se e quando la finale del Sam Boyd Stadium abbia in precedenza mai assegnato tutti e tre i titoli in palio, ovvero 250SX Costa Est, 250SX Costa Ovest e 450SX. Una cosa da far delirare tutti gli appassionati e che ha sicuramente fatto schizzare alle stelle i diritti TV incassati dal promoter Feld Motorsport: bene per tutti, dunque!


Purtroppo, però, le gare sabato sera non sono state esattamente all’altezza delle aspettative. I piloti in testa ai rispettivi campionati si presentavano tutti e tre con talmente tanti punti di vantaggio che solo un disastro gli avrebbe impedito di conquistare il titolo: Zach Osborne è sceso dietro al cancello con 15 punti da amministrare nella Costa Est, Aaron Plessinger ne aveva 13 nella Costa Ovest e Jason Anderson aveva ancora un margine di 14 punti nella categoria regina, la 450.


È pur vero che proprio Anderson ha regalato un grosso brivido a sé stesso, all’Husqvarna e a tutti i suoi tifosi quando la settimana scorsa a Salt Lake City si è agganciato in partenza con Tomac e si è dovuto fermare per due giri con i raggi della ruota anteriore distrutti. Quindi l’imprevisto, dopotutto, è sempre dietro l’angolo, e la Dea Bendata, che quest’anno non aveva ancora girato le spalle al pilota del Team Rockstar Energy Husqvarna, ha deciso di fargli un bello sgambetto. In un sol colpo il vantaggio del neocampione è sceso da 34 a soli 14 punti sul rivale della KTM, il francese Marvin Musquin.


Proprio qui, però, voglio “tirare un sasso nello stagno”: come detto, il fatto di poter assegnare il titolo all’ultima gara può valere davvero tanto in termini di diritti TV. Audience alle stelle, massima copertura mediatica, eccetera. Non a caso da quest’anno sono state introdotte la formula della Triple Crown ed è stato aggiunto un ulteriore Shootout per la classe 250 (oops, scusate è la forza dell’abitudine, adesso lo chiamano Showdown): tutte perfette occasioni per creare imprevisti e rimescolare le carte, tirando la volata fino alla prova finale.


Ogni anno, in occasione delle World Series di baseball, ma anche nella Stanley Cup di hockey e nel basket NBA, i maligni non mancano di osservare come anche dove ci sia una squadra decisamente più forte dell’altra, la serie non si chiude mai 4-0 (quando si gioca la meglio delle 7 partite). Un caso? E siamo davvero sicuri che due raggi erano abbastanza per costringere Anderson a fermarsi per due giri per cambiare la ruota? Con quanti raggi rotti si può pensare di finire un Main Event? E se fosse successo a Las Vegas, invece? Anderson avrebbe continuato? O perlomeno il Team ci avrebbe messo meno di cinque giorni lavorativi (davvero, quella era la sensazione in diretta TV!) per sostituire la ruota? Quella anteriore???


Probabilmente non lo sapremo mai, probabilmente è tutta dietrologia, polemica, cospirazione.

Ma almeno rende un po’ più piccante il piatto che ci è stato servito nella capitale del gioco d’azzardo, ovvero due finaline dove i leader di classifica hanno fatto i ragionieri e non hanno neanche provato a portarsi in testa al gruppo: comprensibile, ma da appassionati ci piacerebbe vedere sempre qualcosa di più. A dire il vero Plessinger un “magic moment” lo ha vissuto quando la moto gli è scivolata via imbizzarrita e a momenti lo ha disarcionato: non so come Aaron sia riuscito a non cadere, ma sono certo che in quel momento gli è passata la vita davanti agli occhi.


Mentre i tre quasi-campioni erano impegnati a fare i conti, a Las Vegas sono comunque brillate altre stelle. In 250 Adam Cianciarulo sulla Kawasaki del Team Pro Circuit ha dato lezioni di guida a tutti, riuscendo finalmente a vincere la sua prima gara del 2018 (tra l’altro aveva vinto a Las Vegas anche l’anno scorso). Dietro di lui si sono messi in evidenza i piloti del Team KTM Troy Lee Designs, Jordon Smith e Shane McElrath, autori dell’ennesima prestazione “balls out” che li mette direttamente tra i favoriti per la corsa al titolo outdoor. Assieme a loro si sono fatti vedere Jeremy Martin, che sta entrando in forma proprio quando sta per iniziare il Lucas Oli Pro Motocross, e il veloce ma poco incisivo Joey Savatgy, che ancora porta le cicatrici “morali” di quanto accaduto al Sam Boyd Stadium esattamente un anno fa. Se non ve lo ricordate, vi siano sufficienti queste parole “in codice”: Osborne/kamikaze/kaboom/titolo perso all’ultima curva.


Come ultima cosa, segnalo che il premio Rookie of the Year per la classe cadetta è andato al pilota Honda GEICO, Chase Sexton.

Per quanto riguarda la classe regina, dopo la prima curva del Main Event 450 si è capito che il discorso titolo era già chiuso. Partito in modo discreto, Anderson si è imbullonato in sesta posizione e ha badato solo a stare lontano dai guai, finendo comunque con un onorevole quinto posto. In testa alla corsa sono stati invece Eli Tomac e Marvin Musquin a darsi battaglia per regolare finalmente la faida che li vede convolti da inizio anno e che si è materializzata in occasione del discusso sorpasso di Foxborough, dove il francesino ha cercato il contatto con il pilota del Colorado all’ultimo giro, andandosi poi a prendere la vittoria. A Las Vegas Tomac è scattato in testa e non si è più voltato, anche se Musquin a tratti è sembrato in grado di poter attaccare. Probabilmente la consapevolezza che una vittoria sarebbe stata comunque inutile e forse anche sapendo che Eli lo aspettava al varco per restituirgli il favore di due settimane prima, hanno convinto il pilota KTM a tirare i remi in barca e ad accettare il verdetto di questo 2018 pieno di incertezze ed infortuni. Tomac, dal canto suo, ha ancora una volta dimostrato di essere virtualmente imbattibile quando corre senza pressione. Dopo anni rimango ancora impressionato dal suo stile di guida incredibilmente aggressivo, con il gas sempre spalancato. L’unico che in qualche modo si avvicina al pilota Kawasaki, perlomeno in termini di “tenere aperto sempre e comunque” è Justin Barcia. Questi due continuano a guidare le 450 come se fossero ancora le loro piccole 250 di qualche anno fa, quando erano compagni di squadra al Team GEICO Honda.


Tomac chiude l’ennesima stagione da pilota che ha fatto segnare più vittorie (7 in totale, contro le 4 di Anderson ed altrettante di Musquin) e ancora una volta richiama alla memoria The Beast from the East, ovvero il mitico Damon Bradshaw. Un pilota che quando correva libero da pressione era irraggiungibile e che nel biennio ’91-‘92 ha saputo far registrare 19 vittorie nella allora classe 250 2t. Fino a Seattle 2018, Damon era rimasto in assoluto il pilota più vincente senza avere mai conquistato il titolo Supercross, ma il nuovo record appartiene ora, guarda caso, a Eli Tomac, che nel suo palmarès conta ben 21 sigilli nella classe regina. Giusto per fare un paragone, il campione 2018 Jason Anderson, ha vinto in tutto 7 gare nella classe 450SX dal 2016 ad oggi. Tomac comunque è in eccellente compagni quando si tratta di grandi piloti che per un motivo o per l’altro non sono mai riusciti ad aggiudicarsi un titolo Supercross: dopa Bradshaw in classifica ci sono Kevin Windham (18 vittorie), Ezra Lusk (12), Ken Roczen (11), Broc Glover e Mike Larocco (10).