Asian Runways: dal Giappone all'Italia, pt. 2

Asian Runways: dal Giappone all'Italia, pt. 2
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  • di Moto.it
Un viaggio di oltre due mesi dal Giappone all’Italia attraverso la Siberia e il Deserto del Gobi in sella alla nuova KTM 1190 Adventure R
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10 settembre 2015

9 AGOSTO – All’hotel dove risiedo c’è la hospitality dell`organizzazione del Mongolia Rally. Mi raggiunge Enkthur, un personaggio molto conosciuto nell’ambito motociclistico da queste parti: oltre ad aver partecipata a questo Rally, è stato segretario della Federazione Motociclistica della Mongolia. Il via è simbolico, infatti la partenza vera è a 40 km da Ulan Bator, così ci trasferiamo là. Man mano che passa il tempo arrivano tutti i concorrenti; sia tra le moto che tra le auto ci sono mezzi che partecipano alla Paris-Dakar ed io mi diletto a scattare foto e fare interviste.
Rientrati ad Ulan Bator, Enkthur mi porta a visitare una mega statua di Gengis Khan, costruita su una piana circondata dalle montagne: svetta per grandezza ma anche per l`effetto luce riflessa, infatti al statua è costruita in acciaio inox. Non lontano c’è una pista per deltaplani gestita da un amico di Ekthur; non esito un attimo per fare un giro. Dall’alto la terra popolata da gher è meravigliosa, con le montagne che creano un gioco di colori straordinari.
Sono cotto, rientro in albergo e vado a letto.

10 AGOSTO - Giornata di riflessione: vorrei scendere a sud, nel deserto del Gobi, e da lì risalire fino agli Altai, per poi proseguire per la Russia; per fare questo, però, occorre una jeep al seguito che carichi i bagagli e porti benzina. Il costo dell’operazione è alto e non posso permettermi di osare con il portafoglio, così decido di scendere a Dalanzadgad scarico, mentre Enkthur spedirà le due gomme TKC 80 via aereo ad un suo amico.
Preparo tutto lo stretto necessario, il resto resterà ad UB. Il pomeriggio faccio il turista, visto che devo attendere per ritirare le mie gomme giunte dall`Italia; la sera vado a cena con Enkthur, un suo amico e la figlia che studia in Italia.

11 AGOSTO - Ritiro le gomme che vanno spedite, poi faccio un salto alla concessionaria KTM di Ulan Bator, dove trovo pure un 450 Rally Replica, oltre a quelli già visti alla partenza del Mongolia Rally.

12 AGOSTO - Si parte con pioggia e freddo. Enkthur mi accompagna con il suo amico fuori da Ulan Bator; ci andrei anche da solo, ma non posso contraddire la sua disponibilità. 40 km dopo la capitale ci salutiamo: mi aspetta una lunga distesa d’asfalto fino ad Dalanzadgad. 16 anni fa feci questa stessa strada, ma non c’era nemmeno un cm d’asfalto: il progresso avanza ed è giusto così.
Supero due passi di montagna sopra i 2000 m, il termometro della moto segna 8 gradi; fino al giorno prima erano 30. Strana, questa Mongolia.
Più macino chilometri, più ritrovo la Mongolia che mi ricordavo: lunghi rettilinei circondati da un habitat incontaminato, gher, mandrie di cavalli e pascoli di ovini, a cui ora si sono aggiunti anche quelli di mucche; in cielo vedo le aquile simbolo di questo paese. Ora il clima è cambiato e fa capolino il sole. A Mandalgovi faccio rifornimento: altri 300 km e sono a destinazione, non prima di aver importunato dei cammelli che sornioni erano ai bordi della strada.
Giunto a Dalanzadgad chiamo Karduian, l`amico di Enkthur, che puntualmente arriva e mi accompagna all`hotel. Le gomme sono arrivate, ma ci organizziamo per sostituirle il giorno dopo: adesso sono troppo stanco e vado a letto subito dopo mangiato.

13 AGOSTO - Alle 10 in punto mi fa visita Karduian per andare da un gommista. Sotto un sole che picchia tiro giù le due ruote, mentre fuori arrivano tanti curiosi: la moto non passa inosservata. Il giorno prima, durante il viaggio, ho avvertito una forte vibrazione al manubrio, e infatti scopro che il cerchio anteriore si è piegato per una botta; lo addrizzo a martellate ed equilibro le ruote come ai vecchi tempi. Ho dietro anche i pesi, che organizzazione!
Rientrati in hotel non resta che pianificare la gita al deserto del Gobi. Karduian mi presenta un signore che con una Toyota 4x4 porterà le mie cose, un po’ di viveri ed un rifornimento di benzina: infatti non riesco ad andare e ritornare con un pieno, ma soprattutto voglio viaggiare scarico per divertirmi.
Nel pomeriggio faccio un salto ad un luogo a 60 km dalla città, dove c’è una bellissima gola che ospita ghiacciai permanenti. La sera si va a cena con Karduian, poi a letto: al mattino sveglia alle 6.

14 AGOSTO - Caricata la Jeep, si punta verso il Gobi. Pochi km ed è subito off-road. A tratti la pista scorre veloce, in altri i sassi rallentano la velocità; dopo 70 km ci fermiamo ad un accampamento di gher: anni fa non c`erano, ora sono luoghi per turisti che trascorrono le notti in questi luoghi e poi al mattino ripartono. Facciamo colazione e di nuovo in pista.
Si svalica dopo 270 km e per magia appaiono le dune del Gobi. Sembrano lì davanti, ed invece dobbiamo percorrere ancora 25 km prima di piazzare la tenda sotto le dune.
Prima di tentare l’arrampicata sulle creste, torniamo indietro ad uno di quegli accampamenti per turisti e proviamo a chiedere per un pranzo; la ragazza è scontrosa, non risponde in maniera chiara e allora decido di girare al largo. Ad un altro campground ci fanno sedere, ma poi arriva di nuovo la ragazza di prima che ci dice che non possiamo restare. Il motivo? Non hanno cibo per noi. L’autista del 4x4 resta in silenzio, mentre io non mi trattengo più e sbotto: le spiego che ho capito benissimo che non posso ricevere pasti perché quello è un camp per turisti che acquistano un pacchetto completo, per cui le dico di non prendermi in giro e la mando chiaramente a quel paese. Cambiamo campeggio e finalmente riusciamo a mangiare qualcosa.
Sul tardo pomeriggio siamo di nuovo sotto le dune: mi guardo intorno, osservo i turisti che salgono fino in cima alle creste, dove si dice che il vento, sollevando la sabbia, crei dei suoni. Ma ci sono altri suoni, quelli del mio Kappone che scorrazza avanti e indietro; poi provo a salire e… cavolo che goduria! Parcheggio la moto a metà duna mentre i turisti mi osservano come un estraneo, ma io non rinuncio al divertimento: il parco giochi è aperto anche per me.
Il sole tramonta regalando una cornice bellissima: colori del cielo che si mischiano a quelli dei riflessi della sabbia, che diventa più scura con l’affievolirsi della luce. Poi la notte, con un cielo stellato da cartolina.

15 AGOSTO - Fa freddo e ad est si vedono nuvoloni carichi di pioggia. Speriamo bene… Andiamo a fare colazione nel campeggio dove abbiamo pranzato il giorno prima; nello spostamento scruto le dune e sempre di più si concretizza un’idea nella mia testa.
All’accampamento di gher rivedo dei turisti incontrati il giorno prima: provengono da Singapore, e quando gli dico che l’anno scorso sono passato di là con la moto si stupiscono, ancor di più quando gli spiego che ero di passaggio in un viaggio dall’Australia verso l’Italia.
Torniamo al nostro campground, smonto la tenda e carichiamo la jeep, ma prima di tornare indietro devo fare una cosa: come 16 anni fa, voglio salire di nuovo su una duna alta oltre 200 m. L’autista mi guarda mentre mi infilo il casco, gli do in mano la fotocamera con la speranza che riesca a scattare qualche foto.
Ingrano la prima, tolgo il controllo di trazione e si va. La moto scodinzola, come è classico sulla sabbia, poi seconda, terza, prendo velocità ed inizio a salire con il motore a limitatore; ora vedo la duna venirmi incontro, ma la salita è così ripida che, nonostante i 150 cv della Kappona, sono costretto a scalare in seconda e continuare a tenere aperto a manetta. Arrivo in cima, mi fermo e giro poco prima della cresta: non so come sia di là e non voglio rischiare d’infognarmi, anche perché adesso devo scendere per tornare indietro e la cosa non è propriamente facile. Solo dalla cima di una duna ci si rende conto di quanto è ripida… Prima di ripartire mi auto-intervisto, non sia mai che i maligni potrebbero pensare ad una recita.
Adesso giù a capofitto, con decisione ma facendo attenzione a non prendere troppa velocità. Faccio scorrere la moto e do gas solo quando sento che sta per affondare. È pura libidine.
Arrivo alla jeep e l’autista mi fa vedere le foto che ha scattato dalla fotocamera. Cavolo, sono bellissime! Sono contento come un ragazzino, ora sì che possiamo ripartire.
La strada è quella del giorno prima, solo una leggera deviazione. Il sole tramonta quando arriviamo a Dalanzadgad. Il tempo di fare una doccia e si va a cena con Karduian e sua moglie.

16 AGOSTO - Non ho fretta di partire, tutto è pronto e devo solo caricare la moto; le gomme smontate ritornano a Ulan Bator con l’aereo. Che organizzazione, grazie Enkthur!
Dopo 550 km sono di nuovo nella capitale ed il caos del traffico mi fa rimpiangere la solitudine del Gobi: per fare 4 km ci impiego un’ora. Vado dritto in piazza Gengis Khan per fare due foto, ma vengo severamente ripreso dai militari, che mi allontanano, anche se dei locali vorrebbero fare le foto con la moto.
Chiamo Enkthur, ma è impegnato. Ci si vede domani.

17 AGOSTO - Il tempo non è bello, fa freddo. In pochi giorni il clima è cambiato, ma lo sapevo.
Mi faccio un giro turistico e passo da un centro commerciale dove vendono elettronica, telefoni in primis, anche usati; con 90 euro mi prendo un tablet Samsung nuovo, che in Italia pagherei non meno di 600 euro.
Preparo tutto quello che non mi occorre più per spedirlo in Italia: c’è Mirco che mi offre spazio nella cassa della sua moto che ritorna in Italia via aereo. In realtà lui arriverà solo dopo che io sarò partito, ma lascio tutto ad Enkthur, che provvederà alla spedizione. La sera mi incontro con Luciano Cosmo, amico di Filippo Ceccucci; una bevuta all’Irish Pub e poi a nanna.

18 AGOSTO – Piove, tanto per cambiare. Carico la moto, mentre arrivano Enkthur, il suo amico e la figlia, che mi accompagneranno nuovamente fuori da Ulan Bator. Arriva il momento dei saluti: dopo 16 anni è stato bellissimo ritrovarsi con meno capelli, ma con lo stesso spirito. Senza dubbio uno dei momenti più belli dell’intero viaggio. Ci lasciamo con una promessa: altri 16 anni sono troppi…
Giro la chiave e vado via dritto senza voltarmi, solo alzando la mano: sono sinceramente emozionato.
Punto ad ovest, la strada è asfaltata. Alla sera sono a Kharkhorin, la vecchia capitale dell’Impero Mongolo, dove esiste il monastero buddhista più antico della Mongolia; potrei andare ma preferisco lasciare la visita al mattino seguente.

19 AGOSTO – Puntualmente, alle 9 del mattino sono davanti al monastero; ci vado senza moto, è a pochi passi dal mio albergo. Suggestivi come sempre i monasteri, con i monaci che si alternano nei luoghi di preghiera; foto e video sono possibili all’interno, ma solo dietro corrispettivo di soldi.
Tornato in hotel non resta che caricare la moto e puntare verso Arvaikheer. Dopo 80 km inizia la pista: ora sì che è Mongolia.
Sali e scendi tra vallate dove lo spazio non è definito tanta è la distanza, la linea di confine con il cielo si perde nel nulla. Poi, quasi per magia, dopo un salitone trovo un’allegra compagnia: è una comitiva errante che sta festeggiando un matrimonio. Dai gesti non riesco a capire dove siano diretti, ma l’ospitalità è genuina. La moto diventa un oggetto di culto e tutti vogliono salire per farsi una foto; per un momento la coppia di sposi passa in secondo piano.
Prima di ripartire scruto le tante tracce: so che tutte portano nella stessa direzione, ma non posso sbagliare, visto che viaggio senza GPS. Prima della città ritrovo l’asfalto; faccio benzina, mangio un boccone e riparto verso Bayankhongor.
Qui finisce l’asfalto e mi convinco che fino al confine con la Russia sarà tutto off-road. Invece incontro due tratti di asfalto lungo il percorso, ad indicare che tra qualche anno di piste sterrate da queste parti ci sarà solo il ricordo.
Arrivato a Bayankhongor non c’è energia elettrica, quindi il pieno è rimandato all’indomani. Cerco un albergo, mi sistemo ed alle 20 torna pure la corrente. Ci sarà luce fino a mezzanotte, poi tornerà il buio.

20 AGOSTO - Devo fare un salto in banca per riprendermi la Postepay che non mi è stata restituita da un ATM. Gentilmente il personale mi asseconda ed in pochi minuti rientro in possesso della carta. Caricata la moto, prendo la pista che porta ad Altay. Seguo il mio intuito e l’esperienza; ogni tanto mi fermo lungo la pista a chiedere al primo che incontro, e tutti mi confermano che la direzione è quella giusta. Vai, GP. Osa!
Descrivere l’habitat non è facile, cambia di continuo. Quella che non cambia è la grandezza degli spazi che si hanno davanti, dove la moto fa da connubio perfetto per chi cerca libertà.
Nel tardo pomeriggio arrivo a Buu Tsagaan; andare oltre non è possibile, perché non ci sono altri villaggi dove dormire. Mi viene offerto un luogo indecente, vecchio e malandato; no, ci deve essere qualcosa di meglio! Per fortuna incontro un ragazzo che parla inglese, capisce la mia richiesta e m’invita ad una gher; accetto volentieri. La padrona mi accoglie con gentilezza, chiedo una doccia e qualcosa da mangiare e vengo accontentato. La doccia mi riporta indietro con gli anni: l’acqua viene scaldata su una stufa alimentata da un combustibile prodotto dallo sterco di mucca essiccato e mi lavo in una conca. Non mi lamento, ma com’è lontana Ulan Bator…
Questo secondo viaggio in Mongolia si sta rivelando un’esperienza bellissima: il confronto con quello di 16 anni fa mette in mostra una realtà cambiata, in cui è arrivato il consumismo, ma nulla a che vedere con il nostro mondo.
Mentre faccio queste riflessioni, sprofondo esausto nel letto.

21 AGOSTO - Fatta colazione, esco dal villaggio. Ora la pista è caratterizzata dalla sabbia, a tratti si torna al duro, poi di nuovo il soft; sul terreno ci sono tante tracce e ognuno sceglie quella che meglio gli si addice. Fa caldo e la presenza dei cammelli lungo la strada ne è la testimonianza. Una jeep mi supera con impeto, per poi fermarsi in mezzo alla pista: i due occupanti vogliono vedere la moto. Scendono, la scrutano, si abbassano per capire come è fatto sto cavolo di motore, poi proviamo a colloquiare, mi chiedono la cilindrata e rimangono stupiti: certe cubature non rientrano nei loro standard. Alla fine mi offrono della vodka, di cui accetto un sorso solo per cortesia. Baci ed abbracci, alla prossima…
Giungo ad Altai (gli ultimi 120 km sono di asfalto), che rispetto a 16 anni fa è diventata una citta. Ci sono tre alberghi ed io scelgo quello più economico, dove mi ritrovo alcuni partecipanti del Mongolia Rally. Nulla di competitivo, solo una passeggiata dall’Europa alla Mongolia, dove imperativo è usare auto datate che poi, una volta ad Ulan Bator, verranno donate in beneficenza. La mia riflessione è che anni a poteva essere un formula che funzionava, ma oggi, avendo visto con i miei occhi il parco macchine della capitale, faccio fatica a pensare a chi potrà mai volere queste auto: alcuni ragazzi italiani sono arrivati qua con una Fiat 127 di 40 anni fa, un autentico cimelio.

22 AGOSTO - La meta di oggi è Khovd. I panorami cambiano: si va verso i monti Altay, sempre innevati; l’aria si fa più fredda e punge sul viso, ma tutto è ripagato da sfondi da cartolina, che a raccontarli senza immortalarli non si riesce a rendere l’idea di quale spettacolo si presenti davanti agli occhi. Gli insediamenti umani consistono nelle solite gher sparse qua e là, con gli animali al pascolo nei paraggi. Foto, video, cerco di captare tutto, ma a volte ci vorrebbe un grandangolo a 360 gradi.
Prima di ritrovare l asfalto mi imbatto in una mandria di Yak. Mi mancavano.
Khovd la ricordavo per le tante gher lungo il fiume. Sono ancora lì, a scandire un tempo che non passa, fatto di usi e tradizioni secolari. Solito albergo, con tanto di doccia, wi-fi e garage per la moto.

23 AGOSTO - Il cielo è plumbeo. Usciti dalla città, la strada sale: è un pistone infinito ed io scarico molti dei cavalli della Kappona; poi mi ricordo che sono solo ed allento la presa sulla manopola del gas. A volte, quando ci si ritrova protagonisti in un contesto unico, spalancare tutto l’acceleratore viene quasi naturale.
Il panorama è ancora più suggestivo del giorno precedente: lo sfondo con i monti Altay è unico, tante foto e riprese a suggellare la consapevolezza che questo luogo è magico. L’ultima chicca è un lago di colore turchese prima di giungere ad Ulgji, dove ho un appuntamento per riprendermi le gomme che mi occorreranno per il resto del viaggio.
Chiamo e dopo 10 minuti arriva l amico di Ekthur con i pneumatici; ringrazio e vado in hotel.

24 AGOSTO – Siamo all’ultimo giorno in Mongolia. Ero consapevole che avrei vissuto una bellissima esperienza e, ora che sono alla fine, ne sono ancora più convinto. Saluto la reception e punto verso il confine. A metà strada mi fermo, in strada c’è un gruppo di bambini; li metto tutti sulla moto per una foto ricordo, poi gli regalo una confezione di biscotti e scateno il delirio…
Arrivo al confine, i ricordi mi assalgono di nuovo: 16 anni fa, per un visto sbagliato, non mi fu possibile entrare in Russia, ma questa volta non ho dubbi né problemi. Quando varco il cancello ripenso ai giorni passati, tante immagini mi si accavallano e non le ho ancora metabolizzate tutte.

Ciao Mongolia, è stato un bellissimo ritorno.

Giampiero Pagliochini

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